Promettono mille posti di lavoro, distruggendo il verde di una città, ci inquinano a morte
e mentre sorridono, stanno licenziando duemila lavoratori dall'altra parte della strada.
Dal sito www.milanoday.it (sotto il link)
Loro lì ci sono andati non per mettersi in coda. Né per fare un giro negli oltre duecento negozi in quello che è stato presentato come il “centro commerciale più grande d’Europa”. No. Ci sono andati il 1 maggio, non un giorno scelto a caso, per ribadire - ancora una volta - le loro idee.
Protesta domenica mattina nel mall “Il Centro” di Arese, teatro dell’azione di alcuni attivisti del centro sociale Sos Fornace di Rho che hanno sfilato in corteo all’interno del supermercato Iper e poi tra i corridoi del centro commerciale inaugurato poco più di due settimane fa.
A guidare la manifestazione ci hanno pensato alcune finte hostess che hanno invitato i clienti del supermercato a prendere i volantini con le offerte del centro commerciale. Offerte naturalmente ironiche di quello che gli attivisti hanno ribattezzato come “Città Vetrina”, simbolo - hanno spiegato in un comunicato - di “speculazione, tangenti, traffico, lavoro precario e sottopagato”.
Gli attivisti hanno protestato ne “Il Centro”, che è aperto per il 1 maggio, con cartelli con le scritte “Il 1 maggio non si lavora”.
“L’ennesimo centro commerciale è esempio - si legge in una nota del Fornace - di una programmazione urbanistica territoriale totalmente asservita al mercato con nessun rispetto per i bisogni del territorio: in un’area già satura di centri commerciali, “il Centro” non porterà altro che un aumento delle nocività, come congestionamento del traffico, tracollo della viabilità, inquinamento, case vuote, desertificazione sociale e lavoro precario”.
Nel mirino dei manifestanti, infatti, sono finiti anche i contratti con i quali sono stati assunti i lavoratori. “Le solite squillanti promesse occupazionali rispolverate ad ogni occasione per giustificare l’ingiustificabile parlano di un migliaio di posti di lavoro su un’area che occupava, al momento della chiusura definitiva delle attività dell’Alfa Romeo, circa gli stessi lavoratori - hanno evidenziato gli attivista -. In quella che è stata presentata come un’”opportunità occupazionale” ci si dimentica degli ex lavoratori e lavoratrici Alfa, liquidati con una manciata di soldi pur di non ricollocarli nel centro commerciale”.
“Le nuove assunzioni gravano oltretutto sulla collettività tramite sgravi contributivi generosamente concessi alle imprese. L’accordo di programma parlava di circa il 50/60% delle assunzioni a tempo indeterminato, ma - hanno concluso i ragazzi del Fornace - col Jobs Act è la precarietà ad esser diventata nel frattempo a tempo indeterminato”.
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